Parole fuori di Isabella Misurelli
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Isabella Misurelli è nata a Bari alla fine degli anni ‘70. Diffonde la sua idea di teatro e di scrittura attraverso progetti ed attività tenuti soprattutto nelle scuole e come volontaria Unicef. Con l’intento di avvicinare un pubblico di giovani al teatro, scrive e mette in scena la tragicommedia intitolata “Sottopassaggio”. Attualmente realizza fiabe e racconti su misura per privati e aziende, partendo dal presupposto che tutti hanno una storia da raccontare. Seguendo questo principio, l’autrice ha operato nel carcere Femminile di Trani, sviluppando con le detenute un laboratorio di scrittura. Da questa esperienza è nato il libro “Parole Fuori”.
Descrizione
«L’inizio del rapporto con queste donne è stato accidentato. Non è facile rivelare a qualcuno che non si conosce ciò che si custodisce nei solchi dell’anima. Poi arriva la fiducia e si spalancano le porte dell’io: una madre che ti abbandona quando sei piccolissima, una famiglia che si sviluppa intorno al codice della violenza, la paura di essere perse per sempre perché non si ha più nulla all’esterno, il rapporto distruttivo con la propria madre, la tossicodipendenza, l’uccisione del primo amore davanti ai tuoi occhi, la morte di tuo marito mentre sei in carcere e la burocrazia non riesce a capire l’importanza di un minuto».
Cosa vuol dire per una donna essere detenuta? Cosa si prova a vivere a distanza il proprio ruolo di madre, moglie, sorella, figlia? Come scorrono le giornate quando si è private della propria libertà? A cosa si pensa? A chi ci si affida per farsi forza ed aspettare il giorno in cui avverrà la scarcerazione?
Nel suo libro Isabella Misurelli cuce e dà forma agli scritti ed ai pensieri delle detenute della Casa di Reclusione Femminile di Trani.
Storie amare, vissute, che svelano il loro volto più vero e fragile.
Racconti e favole in cui emerge quel senso di solitudine e vergogna che non dà tregua a chi ha sbagliato. Ma nelle loro voci si respira anche il desiderio di recuperare gli affetti smarriti, di riacquistare la dignità persa. L’unica condizione possibile per sentirsi donne ancora libere.
Quando qualcuno per un motivo o un altro non ha i mezzi, lo spessore per combattere il male o il desiderio di farlo è esso stesso il male? O c’è un disagio sociale, caratteriale, mentale da sanare.
Non si tratta di giustificare chi delinque, ma di capire cosa succede prima di delinquere. Costruire altre carceri non servirà se non si capisce cosa non ha funzionato.
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